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Sacile

Comuni itinerario
SACILE

Sacile è una cittadina di circa 20.000 abitanti e sorge sulle rive del Livenza. E’ definita “Giardino della Serenissima” per le sue atmosfere veneziane. Gli eleganti palazzi si specchiano nelle limpide acque del fiume.
Onorificenze:
Sacile è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione, è stata infatti insignita della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale.

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STORIA

Sacile vanta origini molto antiche risalenti all’Alto Medioevo, quando il guado sul vicino fiume Livenza divenne strategicamente importante dal punto di vista economico, trovandosi sulla strada che collegava Pavia (capitale del regno longobardo) a Cividale.
Verso l’ ottocento per proteggersi dalle scorrerie degli Ungari, il borgo si fortifica, divenendo un luogo sicuro per il commercio e la riscossione di dazi. La posizione strategica, la possibilità di difendersi e la disponibilità d'acqua (indispensabile per alcune lavorazioni) segneranno definitivamente il suo destino di centro ideale per il commercio e l'industria.
Attorno al volgere di secolo, Sacile vive un periodo tormentato che termina solo nel 1190, quando il patriarca Goffredo concede le libertà comunali: la città si dà una propria autonomia amministrativa e stende i propri statuti, distinguendosi così come centro aperto e dinamico.
All'inizio del '400, la Serenissima inizia la propria espansione in Terraferma. Già nel 1411, Sacile firma con il Senato Veneto un patto di reciproca assistenza e difesa. Venezia, in quel periodo, è in guerra contro l'Imperatore Sigismondo e Sacile la appoggia. Dopo un breve intermezzo, durante il quale l'Imperatore sembra avere la meglio, Venezia torna all'attacco e riconquista la città nel 1419. Non si dimenticherà mai del sostegno ricevuto e i buoni rapporti fra città friulana e la Serenissima dureranno fino all’arrivo di Napoleone e alla conseguente fine della Repubblica, avvenuta nel 1797.
Scorrono così lunghi secoli tranquilli, durante i quali la città prospera. Dopo una breve dominazione austriaca iniziata nel 1798, nel 1805 tornano i francesi. Nel 1815, con la definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo, tutti i territori italiani rientrano in possesso dell’Austria, Sacile compresa. Con il nuovo dominio, arriva anche una nuova struttura amministrativa e, nel 1855, anche la ferrovia (con la linea che collega Venezia a Udine). Nel 1866, infine, l'Italia.
Sacile torna a essere strategicamente importante per la sua posizione e la sua vivacità agricola, commerciale e industriale, sostenuta e promossa da un ceto borghese intraprendente. Nel 1914 scoppia la Grande Guerra e quando, l'anno dopo, anche l'Italia entra nel conflitto, Sacile ha già consolidato il suo ruolo di distretto militare, fondato nel 1907. Suo malgrado, la città rivestirà un ruolo primario anche durante la Seconda guerra mondiale, pagando un prezzo elevato in termini di distruzione e perdite di vite umane.
Il dopoguerra vede una grande espansione economica e il prosperare dei settori economici sacilesi tradizionali (agricoltura, manifattura, commercio).

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Palazzo storico in Sacile


Duomo di San Nicolò

Assolutamente da visitare il  Duomo di San Nicolò, patrono della città e Santo della navigazione fluviale. Fu fatto erigere dal Duca del Friuli Enrico nel 796 ed attorno ad esso  si sviluppa il primo centro abitato.


Ci affidiamo a Fabio Metz per la visita guidata al Duomo. Nel suo scritto egli così ci racconta di questa chiesa:
Nel 1483, a nemmeno dieci anni da quando, ed era il 1474, il Consiglio aveva deciso di rifabbricare la chiesa grande cittadina, demolendone una precedente quanto meno ducentesca, Marin Sanudo annotava nel suo diario che "Saccil ha una bella chiesia, benissimo oficiada". Una valutazione che, detta da un veneziano, era un bel complimento. Tanto più che aveva perfettamente ragione. Basta ritornare oggi in S. Nicolò - fortunatamente conservatosi identico a quello che aveva potuto ammirare il Sanudo - per rilevarne, e senza fatica, tutta la bellezza.

La quale bellezza non sta tanto nella solennità dell’impianto o nelle dimensioni decisamente ragguardevoli e nemmeno forse nella bontà dei particolari decorativi, quanto piuttosto nell’ariosità complessiva dell’interno e nella diffusa luminosità che tutto lo permea seppure in quantità minore rispetto a quella originaria, a causa della chiusura dei tre lunghi finestroni dell’abside poligonale.
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In questo vasto respiro architettonico, il visitatore si riconosce accolto non appena varcata la soglia del portale custodito dalle ante bronzee iniziate nel 1972 da Pino Casarini e completate, per la scomparsa dell’ideatore, da Luciano Carnessali nel 1975. Ed immediatamente dopo, entrato nella navata centrale, il passo e l’occhio, accompagnati dalla cadenza di due colonnati laterali coronati in alto da preziosi capitelli fioriti come corolle, si dirigono verso la festa di colori che invade e quasi annulla le pareti del presbiterio per trabordare nella navata ai due lati dell’arcone trionfale. Notevole fatica ad affresco, questa cui Pino Casarini attese nel 1946 e che completò l’anno successivo con un "Sacro Cuore" dipinto nella cappella del Sacramento, situata al termine della navata di sinistra. È proprio nel "cammino verso", muovendo dalla porta maggiore verso l’altare, che sembra stia la chiave di lettura più vera di questo enorme ciclo di affreschi: più e prima del particolare o dell’individuazione delle singole tematiche, è la gloria del colore – "tanto", squillante, generoso nella pennellata - a "prendere occhio" o, meglio ancora, a "invadere", persino prepotentemente, l’occhio e il cuore. Fino quasi a spaventare. Probabilmente questo il Casarini doveva aver capito quando aveva pensato di "preparare" il riguardante all’impatto con la decorazione dell’abside con una "processione" delle evangeliche vergini sagge da distendere, a macchia e con colori tenui, lungo la parete di meridione della navata al di sopra degli archi ogivali del colonnato.


Ma poi l’occhio gira al di sotto delle due navate laterali. Ridotti di numero rispetto ad una rappresentanza quattro-cinquecentesca ben più folta, distribuiti con pausata cadenza, omologati, coppia a coppia nelle tipologie dall’intervento di riordino settecentesco, vi stanno otto altari minori, alcuni dei quali ancora conservano le pale originarie: frutto della committenza di natura confraternale. L’impatto visivo è estremamente delicato e perciò, senza dubbio, voluto.


Sono infatti le strutturazioni architettoniche degli altari ridotte all’osso, mantenute su tonalità sfumate le cromie delle parti in pietra e marmo con le quali si amalgamano le gamme coloristiche delle pale, appaiati a coppia dirimpettaia i disegni delle mense e degli alzati.
La luminosità della navata, pur menomata da qualche monofora per l’erezione di questi altari, non soffre diminuizione, e si continua a distribuire, per successive "ondate", dalle ali laterali alla navata centrale al cui interno progressivamente si perde nella ritmata successione delle capriate del tetto.


Accolta da questo soffuso trapassar di luci sulla parete della navatella laterale di sinistra, appena al di là della modesta epigrafina dipinta che porta a documentare la sepoltura, avvenuta nel 1587, in questa chiesa del grande polifonista veronese Vincenzo Ruffo, sta il dipinto di Francesco Bassano, fino agli inizi del secolo scorso sull’altar maggiore: un S. Nicolò in cattedra sotto una gloria in cui compare la Vergine con il Bambino e fanno compagnia i Ss. Giovanni Battista, Antonio abate, Michele arcangelo e Giorgio martire. Opera splendida condotta a termine nel 1589, o al massimo agli inizi del 1590, oggi purtroppo fatta scendere dalla sua antica collocazione al centro del presbiterio e privata della incorniciatura lignea intagliata e dorata - sorta di castone posto a custodia di preziosa gemma - che, prima di accrescerne la maestà in termini decorativi, contribuiva a definirne il ruolo di icona del santo eponimo e del protettore cittadino collocato in una sorta di "paradiso" luminescente transterreno. Un ruolo che, in tempi non lontani, è stato affidato ad un crocifisso tardocinquecentesco di delicata fattura e d’accurato intaglio (Vincenzo de Onestis?), ma che non può essere chiamato a sostituire il titolare della chiesa grande della città in cui, nel Cinquecento, alla funzione di "templum Dei" era affiancata pressoché indissolubilmente la funzione di "ornamentum civitatis".

[Tratto da "Le Tre Venezie" del Maggio 1997]



Chiesetta della Madonna della Pietà

Luogo di culto particolarmente caro ai sacilesi ha sempre goduto di una profonda devozione popolare tanto che, per le festività mariane di un non lontano passato, si celebravano grandi e solenni manifestazioni. L’abbandono nella chiesa della pratica effettiva del culto, nonché il pesante intervento di restauro del 1938, hanno contribuito a far perdere, negli ultimi anni, il senso del valore storico ed artistico di questo magnifico edificio.
La costruzione della chiesa venne iniziata nel 1611 a seguito di un evento miracoloso verificatosi nell’agosto del 1609: una statua "della Pietà" – da tempo collocata nei pressi del ponte delle "pianche" che consentiva l’accesso nella piazzetta del Duomo – aveva incominciato a lacrimare. Presto si parlò di miracoli e di guarigioni insperate e i fedeli accorsero numerosi anche dalle comunità vicine. Il Consiglio della Magnifica Comunità di Sacile ottenne, dopo una lunga e controversa diatriba con il Senato Veneto e la diocesi di Aquileia, di poter fabbricare nei pressi del ponte una chiesetta per meglio conservare la miracolosa statua. La chiesa venne finalmente consacrata venne realizzato l’altare da Valentin dell’Huomo di Udine.
Nel corso dei secoli la chiesa è stata più volte sottoposta ad una serie di lavori di restauro all’inizio del 1616. Per quanto riguarda l’interno, la modifica più radicale è stata apportata nel corso dei restauri del 1938, dopo i danni causati dal terremoto di quell’anno: l’altare, infatti, non si trovava nella posizione odierna, ma era avanzato e disposto in maniera tale da dividere in due parti l’attuale presbiterio. Si venivano così a formare due spazi distinti, un coretto davanti all’altare e la sagrestia dietro. L’accesso a quest’ultima avveniva tramite il "corridore", costituito dalla stanzetta che oggi, invece, svolge la funzione di sagrestia. Anche gli intonaci originali sono stati rifatti nel 1938, poi nel 1978 e nell’ultimo intervento del 1996, in seguito ad un generoso finanziamento della signora Marina Zancanaro. Le ricerche effettuate hanno consentito di ricostruire, almeno sulla carta, le primitive decorazioni interne, a marmorino e stucchi, portate a termine nel 1791 dai fratelli Nadal e Francesco Marangoni, detti Cariol. I due artisti sacilesi avevano creato un apparato scenico di grande suggestione, giocando sulla luminosità delle pareti e della conchiglia, rifinite a lucido marmorino, e sulla opacità degli archi, delle lesene e delle cornici, costruite di intonaco grigio; tutto l’interno, ad eccezione dei riquadri a finti marmi, era bianco dando quindi luminosità ad un ambiente poco illuminato.
Nessuna grave modifica ha, invece, subito la parte esterna della chiesetta. L’analisi delle piante e degli alzati dell’edificio hanno piuttosto messo in evidenza un raffinato disegno teorico di costruzione geometrica. Da notare, inoltre: il poetico atrio a doppio loggiato che si alza direttamente dalle acque del Livenza; l’aula a pianta esagonale, tipo molto raro da trovarsi e che si distingue per singolarità suggerendo forse allusioni simboliche; la convergenza verso l’ingresso delle pareti laterali della vecchia sagrestia, che in tal modo dovevano scomparire dietro l’altare agli occhi del visitatore. Ma l’opera più pregevole conservata nella chiesa è la statua della Pietà, iconografia nota anche con il termine tedesco di "Vesperbild", che si affermò considerevolmente nel corso del Quattrocento, con grande interesse da parte dei devoti. L’origine di tale manufatto non è documentata: al momento dell’evento miracoloso, che portò all’erezione della chiesa, la Pietà era raccolta, come si legge nei "Libri delle Parti Consiliari", in un capitello posto sullo stesso luogo, di cui oggi, però, non esistono più tracce ad eccezione forse di un piccolo frontone attualmente murato sulla parete dell’odierna sagrestia. (La datazione del capitello, risalente alla metà del Cinquecento, è di molto successiva a quella della statua, che può essere datata, tramite confronti stilistici con analoghe sculture, alla prima metà del XV secolo). Data la qualità della statua, però, è possibile ritenere che essa in origine non fosse stata realizzata specificamente per quel capitello, ma per una cappella del Duomo e che in seguito ai lavori di rifacimento di quest’ultimo (1474-1496) sia stata collocata nel capitello suddetto.
Attualmente, la statua della Pietà appare di aspetto bianco giallastro, ma originariamente possedeva un aspetto diverso e, fino al secolo scorso, essa era ancora ricoperta di uno strato pittorico, testimoniato oggi solo da alcune tracce di colore sulla superficie. In passato, infatti, la statua fu spesso ridipinta o semplicemente ritoccata per mantenere sempre freschi e accesi i colori. Pur non avendo riscontri archivistici, si può tuttavia ritenere che per tutto il corso del Seicento e del Settecento la scultura abbia subito periodici restauri della policromia. Non si conoscono, invece, il momento e il motivo per cui fu rimossa la patina dipinta sulla statua.
La statua, considerata da sempre in pietra renaria, è nella realtà un’opera realizzata con un impasto artificiale la cui tecnica, di origine tedesca, è meglio nota sotto il termine di Gußstein. Tale materia, a base di gesso e sabbia, era utilizzata per realizzare statue o decorazioni architettoniche; essa consentiva di essere facilmente lavorabile, permettendo risultati di estrema ricchezza formale. La Pietà sacilese è costruita con un materiale di consistenza lapidea di colore bianco giallognolo caratterizzato dalla presenza nella massa di bolle d’aria chiaramente visibili sulla superficie. Sul lato posteriore, la statua è cava, presenta segni di lavorazione a spatola e impronte a calco di tavole di legno che indicano chiaramente l’impiego di un impasto originale fluido solidificato. Tali segni suggerirebbero l’idea di una colata liquida all’interno di uno stampo.

[Francesco Glavich - tratto da "Le Tre Venezie" del Maggio 1997]


Chiesetta della Madonna della Pietà a Sacile
Chiesetta della Madonna della Pietà a Sacile


La chiesa di San Gregorio

La Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Friuli Venezia Giulia ha avviato l’opera di restauro della Chiesa di San Gregorio, sita in quell’omonimo borgo che lo storico Marin Sanudo nel 1483 descrisse "bellissimo, ove è una porta che si chiama de Coneian".
L’antico borgo, posto tra il corso fluviale e stradale, conserva, infatti, tuttora la sua integrità urbanistica, resa ancor più suggestiva da una doppia fila di portici di un certo valore architettonico.
La chiesa – intitolata dal 1437 a San Gregorio  sorse nel 1366 come sostegno spirituale ai sofferenti ricoverati nel vicino ospedale, costruito "ab immemorabili" su un’altura nei pressi del Livenza; fu interamente rifatta ed ampliata nel 1519 e quindi sottoposta, nel corso dei secoli, ad un succedersi di ampliamenti e ammodernamenti. Il complesso si presenta, quindi, come il risultato di diversi stili architettonici: al tardo gotico si può fa risalire la navata, con la muratura di mattoni a faccia vista all’esterno e la copertura lignea a capriate in vista; alla riforma cinquecentesca sono invece da collocare la facciata con elementi in pietra d’Istria, l’arco trionfale, la cupola a tamburo e il catino absidale, anch’essi caratterizzati da elementi lapidei prettamente rinascimentali; alla riforma seicentesca risale l’aspetto della torre campanaria, mentre gli altari laterali e la sagrestia risalgono ad epoca più tarda.
La decadenza della chiesa iniziò nel 1876 con il trasferimento dell’ospedale nel vecchio convento delle Umiliate; sconsacrata, servì per diversi decenni a magazzino comunale.
Dopo il terremoto del 1976 si rese necessario il recupero dell’edificio.
L’intervento di restauro si proponeva di reinserire l’edificio nel circolo vitale della comunità sacilese dandogli nuova funzione e dignità civica.
Pertanto, le modalità esecutive hanno dovuto compendiare esigenze di varia natura quali la sicurezza, la funzionalità, il recupero e la valorizzazione dell’opera artistica.
In una prima fase, l’amministrazione comunale aveva provveduto al consolidamento delle fondazioni; successivamente la Soprintendenza interveniva sul consolidamento delle pareti col metodo dello "scuci e cuci", alla revisione della copertura con travi a vista, al restauro del paramento murario interno ed esterno, alla sistemazione della pavimentazione, al recupero delle lastre tombali e degli altari laterali.
Una particolare cura è stata posta nella messa in luce e recupero degli antichi intonaci e dei frammenti di affresco ancora esistenti sulle pareti.
Alla base del soffitto a capriate è stato reso ben leggibile il fregio continuo (interrotto da vaste lacune in corrispondenza dell’innesto delle travi nel muro) ad affresco, con zone dipinte a secco (e ormai cadute) raffiguranti "raffaellesche" affrontate araldicamente a lato di medaglioni con figure di santi. Questo fregio è dipinto in rosso e può riferirsi agli ultimi decenni del Cinquecento, come sembra essere confermato dall’esecuzione compendiaria di motivi ispirati agli esempi illustri (in regione) nel "genere" della grottesca.
Sulle pareti sono state restaurate le scarse tracce superstiti di decorazione ad affresco: su quella di destra, uno stemma della città (croce rossa in campo bianco) e una figura di San Giacomo entro edicola rinascimentale composta da paraste con arabeschi e architrave decorata a grottesche (lavoro di un artista non disprezzabile, di chiara educazione veneta, ancora legato a modelli pittorici tardo quattrocenteschi).
Sulla parete di sinistra, tracce assai frammentarie di affreschi dimostrano che doveva esservi una figurazione dello stesso periodo di quella della parete destra, distrutta in occasione dell’apertura delle cappelle laterali.
Il restauro, tuttavia, non si è limitato al recupero totale delle pitture, ma – in armonia con la metodologia seguita nell’intervento di restauro architettonico – si è esteso anche agli intonaci originari in gran parte conservati sotto intonacature recenti (sia pure fittamente picchiettati).
I lavori iniziati nel 1981 si sono protratti fino al 1986, quando si è inaugurata una nuova stagione per il complesso di San Gregorio che, quale centro culturale per concerti, convegni, spettacoli e mostre, è stato a pieno titolo reinserito nel tessuto vitale della città. [Gilberto Iacuzzi - tratto da "Le Tre Venezie" del Maggio 1997].

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La chiesa di San Gregorio -  Sacile

Il Palazzo Ragazzoni

Appena fuori dell’antica cinta murata di Sacile si alza sull’acqua il palazzo Ragazzoni. Il nome del palazzo deriva da quello di una famiglia della borghesia commerciale veneziana che vi ha abitato e che lo ha abbellito e reso interessante.

Il palazzo occupava la parte più avanzata verso il centro cittadino di una vasta tenuta agricola estesa nel territorio suburbano di S. Odorico. L’azienda era strutturata in feudo, come patrimonio statale concesso in gestione ai privati con il pagamento di un canone e con il giuramento di fedeltà al sovrano.

La natura feudale risaliva ancora ai tempi dell’impero romano d’Occidente ed il potere di assegnare il godimento dei terreni era stato trasferito ai patriarchi d’Aquileia, come vicari imperiali. I patriarchi esercitarono questo diritto fino a quando Venezia sottrasse loro il Friuli. Composte le vertenze con la curia patriarcale, anche il feudo di S. Odorico passò nel patrimonio del Dominio veneto. Da allora il doge concesse la titolarità del feudo a diverse famiglie fino a darla a due straordinari esponenti della borghesia commerciale di Venezia, Giacomo e Placido Ragazzoni.

Di rilevante interesse per la conoscenza del palazzo conosciuto oggi come Flangini-Biglia è il racconto delle vicende che hanno caratterizzato la vita di uno dei suddetti fratelli, cioè in particolare di Giacomo Ragazzoni.
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Questi si recò in giovanissima età a Londra ed entrò in amicizia prima con il re Enrico VIII e poi con il successore Edoardo VI. Favorito dal fatto che l’altro fratello Vettor, che si era fatto prete, stava alla corte papale, a Giacomo capitò di svolgere un’azione diplomatica discreta per riportare l’Inghilterra al cattolicesimo. L’occasione si presentò con la successione al trono di Maria Tudor, figlia dello scismatico Enrico. Giacomo si trovò anche a condurre le trattative per il matrimonio della regina con Filippo II di Spagna. Il felice esito del contratto ebbe il coronamento con il privilegio concesso a Giacomo di potersi creare uno stemma con i simboli araldici della famiglia reale. Richiamato in Italia dagli obblighi familiari, Giacomo riuscì ad avviare a Venezia una fortunatissima carriera commerciale: si interessò di forniture navali e di commercio del grano in tutto il Mediterraneo, aiutato in questo dal fratello Placido. Conquistò il monopolio nel commercio dell’uva passa e le navi, che trasportavano le forniture di questo genere dalle isole dell’Egeo al mercato di Londra, erano di stazza così rilevante da non poter risalire il Tamigi, ma dovevano essere scaricate sul canale della Manica. Ragazzoni si riforniva soprattutto dai territori soggetti all’impero turco, favorito anche dal fatto che uno zio era vescovo di Famagosta nell’isola di Cipro. Morto lo zio, gli era succeduto come vescovo un altro fratello di Giacomo, quel valentissimo Gerolamo che appena trentenne ebbe l’incarico di concludere il Concilio di Trento e di applicarne le decisioni in collaborazione di S. Carlo Borromeo. Giacomo e Placido stavano intensificando la loro attività nelle basi navali siciliane, quando furono coinvolti in un gioco diplomatico condotto in segreto dal governo veneziano. Tutto il mondo cristiano era stato chiamato dal papa a lottare contro il sultano di Costantinopoli ed a Roma le varie potenze cattoliche stavano stringendo una lega militare. Venezia, che partecipava ufficialmente al tavolo delle trattative, non intendeva però compromettere i traffici con i musulmani ed escogitò di tentare un approccio con il sultano, utilizzando Giacomo come mediatore, che, svolgendo questo incarico, riuscì ad accumulare grandi quantità d’oro. Portò gli accordi quasi alla conclusione, quando a Roma si venne a conoscenza della missione e Venezia non ebbe la benché minima difficoltà di sconfessare l’agente segreto. Giacomo, però, riuscì a salvarsi, anzi lo stesso sultano lo utilizzò come suo ambasciatore per portare a Venezia la dichiarazione di guerra ed il seguito degli eventi portò alla vittoria cristiana a Lepanto.

Esauriti questi incarichi pubblici, Giacomo Ragazzoni si dedicò al rafforzamento delle fortune patrimoniali della famiglia anche con l’acquisizione della proprietà di circa 730 campi, parte prativi e parte arativi, nel territorio di Sacile e con l’acquisto per 30.000 ducati nella stessa prediletta città del palazzo di Tobia Ottoboni. Ristrutturò profondamente l’immobile e si dedicò alla sistemazione del vicino ponte per rendere più deliziosa e comoda la dimora. Per rendersi gradito alla amministrazione della Comunità locale sistemò il porto sul Livenza, come pure fu largo nella sovvenzione di un prestito senza interessi per l’acquisto di granaglie in tempi di carestia. Ad altre case e broli nella piazza sacilese associò almeno otto edifici industriali destinati a mulini, folli da panni, cartiere e battiferri per spade.
L’operazione più significativa restò comunque l’acquisizione del godimento, assieme al fratello Placido, di 322 campi, della cancelleria amministrativa e d’un antico maniero in rovina, che costituivano appunto il feudo di S. Odorico, sborsando 6.000 ducati al possessore Pompilio di Porcia. Il feudo, posto fra il Denegal e la Fossetta, era stato assegnato dal patriarca Bertoldo nel 1237 a Corrado ed Enrico Pelizza. Dopo la conquista veneziana del Friuli, il feudo trasmigrò nella famiglia dei Porcia, per passare così ai Ragazzoni. Venezia, sentendosi obbligata verso di loro, approvò il passaggio della titolarità e la decorò della elevazione a contea, prerogativa che apriva alle donne di casa Ragazzoni la possibilità di contrarre matrimoni con esponenti del patriziato. Dalla titolarità del feudo derivarono per i Ragazzoni anche il diritto di sedere fra i castellani del Parlamento della Patria del Friuli ed il dovere di contribuire, in caso di guerra, al mantenimento della cavalleria dell’esercito veneto, nonché l’obbligo di offrire ogni anno alla chiesa ducale di S. Marco un cero di dieci libbre. Il possesso di S. Odorico aprì nuove prospettive all’attività di Giacomo. Si andò interessando all’agricoltura, all’allevamento bovino nella piana del Cansiglio ed alla intensificazione dell’industria molitoria sulle rapide del Livenza. Si dedicò con particolare cura al palazzo per renderlo confortevole ai figli che in numero di quindici gli stavano attorno. La casa aveva raggiunto un tale agio, che fu destinata ad ospitare Enrico III, quando lasciò il trono di Polonia per raggiungere quello di Francia. Il passaggio del Re per Sacile è un episodio della più spettacolare visita di stato mai avvenuta durante la storia della Repubblica Veneta. Enrico, figlio di Caterina de Medici, incontrò Sacile, dove Giacomo ospitò centinaia e centinaia di persone. Musiche e danze furono organizzate in quella occasione e non furono infondate le notizie di viziosi divertimenti goduti dal re e pagati con la cessione di basi militari francesi in Piemonte. Caterina de Medici fu informata che il figlio dava segni di depravazione e quindi richiese espressamente la vigilanza di Giacomo per impedire altri scandali, almeno in pubblico. Ragazzoni svolse il compito con discrezione e tatto durante tutto il successivo viaggio di Enrico. Accompagnò il giovane fino a Ferrara e lo consegnò nelle mani degli inviati della regina. Il comportamento di Giacomo fu così accorto, che si meritò la stima dello stesso Enrico. Il Re lo invitò alla cerimonia dell’incoronazione. Ci andò invece Placido che ricevette dalle mani reali il privilegio di aggiungere allo stemma di famiglia i gigli di Francia.
In seguito Giacomo rimase implicato (ancora una volta come agente segreto del governo di Venezia) in affari, poco chiari, di forniture d’armi ai Paesi Bassi in rivolta contro Filippo II di Spagna.
Il governo di S. Marco utilizzò ancora il palazzo dei Ragazzoni per ospitare Maria d’Asburgo.
Nel palazzo di Sacile ebbe anche il suo quartier generale Napoleone Bonaparte, prima di sferrare il colpo decisivo sull’esercito austriaco.

[Giorgio Zoccoletto - tratto da "Le Tre Venezie" del Maggio 1997]



Piazza del Popolo

La principale piazza di Sacile, situata nel cuore della città, era in origine un emporio destinato allo scalo delle merci del porto fluviale. L'inclinazione del terreno, che qui scende leggermente verso sud, rivela ancor oggi la funzione originaria dello spiazzo, che fu chiuso nella seconda metà del Cinquecento, quando l'attività portuale cessò definitivamente.

Il perimetro della piazza è delimitato da una serie di palazzi-fondaco risalenti ai primi decenni del Seicento (periodo in cui l'intera area fu prosciugata e pavimentata con pietre e ciottoli). Si tratta di edifici articolati su tre piani: il pianterreno era destinato alle attività commerciali, il primo fungeva da abitazione, l'ultimo era invece adibito a deposito o granaio. L'accesso ai palazzi era possibile sia dalla piazza che, grazie all'imbarcadero, dal fiume Livenza. Nel Settecento, in seguito al prevalere della funzione residenziale sulle altre, questi palazzi furono sottoposti ad interventi di ristrutturazione degli interni.

Piazza del Popolo Sacile

Tra tutti, meritano di essere menzionati palazzo Fabio - De Zanchis, sulla cui sottogronda si leggono ancora le tracce di un bell'affresco di soggetto mitologico attribuibile alla scuola del Pordenone (1483-1539); palazzo Loschi, caratterizzato dalle due eleganti doppie quadrifore della facciata; palazzo Piovesana, che presenta sull'arco del sottoportico un affresco raffigurante una Madonna china con velo nero (il dipinto doveva far parte di un gruppo comprendente anche una Madonna china su Cristo morto, ma successivi interventi hanno purtroppo cancellato quasi tutto).

Sul lato opposto della piazza spicca palazzo Pianca, edificio in stile gotico con ampie finestre a tutto sesto, balaustre perforate e trifora con capitelli decorati.


Sotto i portici si conservano due antichi affreschi di fattura popolare. Il primo, sull'arco del sottoportico di palazzo Pianca, rappresenta una Madonna con Bambino su trono marmoreo sormontato da un ricco fregio con vaso, fogliame e fiori. Il secondo, sull'arco del sottoportico della ex trattoria Sfriso, raffigura un'altra Madonna con Bambino assisa sul trono; alla sua sinistra, un angelo suona il mandolino su un piedistallo marmoreo; più a destra, ai piedi di una croce, intravediamo una figura in ginocchio e, nello sfondo, un paesaggio con templi. Sul lato sinistro dell'affresco è dipinto un altro angelo con violino; più a destra, un San Sebastiano in un paesaggio collinare.
L'ex Monte di Pietà e l'attuale albergo Due Leoni, ricostruiti sulle macerie dovute ai bombardamenti che colpirono la zona nelle due guerre mondiali, sono stati ristrutturati in modo tale da assicurare alla piazza una certa continuità architettonica e armoniosità d'insieme. www.prosacile.com



Eventi:

- ad agosto la “Sagra dei Osei” mostra-mercato di uccelli, esibizioni e gare di canto dei numerosissimi esemplari;
- Rassegna “Volo del jazz“ . Momento culturale di ampio respiro, ricavatosi uno spazio di prim’ordine nel panorama culturale nazionale (sia per l'originalità del programma che per l'unicità degli artisti che propone), la manifestazione ha conquistato l’attenzione di un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo, che arriva da tutta la regione, dal vicino Veneto, ma anche dal resto d'Italia, come pure da Austria e Slovenia. http://controtempo.org
- Stagione concertistica “Fazioli concert Hall”. Concerti di musica classica. http://www.fazioli.com/it/concerthall/index
- Trofeo internazionale Città di Sacile, Canoa Slalom.

Area camper: parcheggio tra via Ruffo e via della Repubblica

Prodotti del borgo: filetti di trota verace, salumi e vino

Per info: Piazza del Popolo, 65 - 33077 Sacile – tel. 0434 787

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Piazza del Popolo - Sacile
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